30 gennaio 2017

Le case di Jane Austen

Dopo la pubblicazione, lo scorso anno, di Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana, esce oggi un mio nuovo saggio, con il quale proseguo l'esplorazione dei significati dell'ambiente e della forma della casa nella letteratura inglese. 
Il libro, Le case di Jane Austen, pubblicato da flower-ed, è dedicato al valore che le case hanno assunto e assumono per Jane Austen e per i suoi personaggi. Mentre ciascuno dei capitoli è dedicato in particolare a uno dei romanzi canonici (con l'eccezione del primo, di natura biografica), il percorso di lettura tracciato da questo saggio prende in esame l'architettura delle case che compaiono nelle storie austeniane, il loro arredamento, gli oggetti che le decorano, il denaro necessario a mantenerle e i guadagni ottenuti dallo sfruttamento (più o meno aggressivo) delle proprietà, i divertimenti interni alle loro stanze, i passatempo, la comunicazione, le abitudini alimentari e tanti altri particolari. Le domande che questo saggio si pone, e alle quali ha tentato di rispondere, sono, tra le altre: 

- Qual è il senso della parodia della casa gotica in Northanger Abbey
- Che cosa significa per le sorelle Dashwood la perdita della casa? 
- Qual è il ruolo di Pemberley nella struttura di Orgoglio e pregiudizio
- Come si rapporta Fanny Price agli ambienti di Mansfield Park
- Qual è lo scopo narrativo del continuo spostarsi di Anne Elliot tra diverse case in Persuasione
- In che senso Donwell Abbey in Emma rappresenta l'identità dell'Inghilterra?
- In che modo i romanzi di Jane Austen affrontano le teorie estetiche del loro tempo?
- Qual è la relazione tra movimento e inerzia, tra fantasia e realtà, tra linguaggio e silenzio, che i personaggi austeniani interpretano all'interno del contesto domestico? 

Seguendo questo tipo di «sentieri di conoscenza», ho rinvenuto, nei luoghi e nei dettagli domestici illustrati da Jane Austen, degli indicatori della psicologia dei suoi personaggi e in generale della natura umana. I sei romanzi (opere ben diverse che semplici storie d'amore) ci restituiscono il ritratto di un'epoca intera, dal punto di vista della sua realtà storica, economica, estetica e politica; e così facendo rendono ancora più accurato, concreto e immortale il racconto dei percorsi di maturazione e di crescita individuale delle loro protagoniste. 

SCHEDA LIBRO
Le case di Jane Austen
di Mara Barbuni
Edizione flower-ed, gennaio 2017
ISBN 978-88-97815-87-7
180 pagine

Disponibile su Amazon in cartaceo e ebook


25 gennaio 2017

Ancora una volta ... Virginia Woolf

Il 25 gennaio 1882 nasceva Virginia Woolf. È una scrittrice di cui bisognerebbe parlare sempre, farla studiare a scuola, portare il suo pensiero dappertutto, dai tavolini di un bar agli scranni della politica. Perché Virginia è davvero uno di quegli autori che possono farti diventare migliore di quello che sei, che ti aiutano a comprendere, a fare una pausa, a riflettere, ad ampliare il tuo sguardo (esterno e interno). Chiunque può trovare, nella scrittura di Virginia Woolf, qualcosa che incontri il suo gusto: il romanzo tradizionale e quello sperimentale, la forma del racconto, il diario di viaggio, l'espressione filosofica, la biografia, la critica letteraria, l'esplorazione della psiche e dei rapporti umani, lo studio artistico, l'analisi della struttura del Tempo, la passione per il giardinaggio, l'interior design e persino le ricette di cucina... Non le manca niente. 
Un post su di lei, pubblicato nel giorno del suo compleanno, non può essere altro che celebrativo, e le parole che lo compongono non possono essere altro che sue. Prendiamoci una mezz'oretta, oggi, e leggiamo, condividiamo, diffondiamo, anche solo un barlume della sua scrittura. 



«Nelle strade più tranquille i suonatori ambulanti distribuivano ai quattro venti il loro tenue e quasi sempre malinconico filo di suono riecheggiato o parodiato ora qui tra gli alberi di Hyde Park, ora nel St. James's Park, dal cinguettio dei passerotti e dai gorgheggi improvvisi, amorosi e intermittenti, del tordo canterino. [...] Appena il sole era tramontato un milione di lumicini a gas, come occhi della coda di un pavone, si aprivano nelle loro gabbiette di vetro [...] Finalmente si alzava la luna e il suo disco lucido e metallico, oscurato di quando in quando da una nube sfrangiata, splendeva sereno, con una certa severità, o forse con perfetta indifferenza. In lenta rotazione, come i raggi di un riflettore, i giorni, le settimane, gli anni passavano l'uno dopo l'altro attraverso il cielo». 
(Gli anni, ed. Mondadori. Trad. it. di Giulio de Angelis) 

«Una gran quiete scendeva su di lei, ella si sentiva calma, soddisfatta, e intanto l'ago, traendo dolcemente la seta fino alla pausa soave, raccoglieva le pieghe verdi e le riuniva, morbide, alla vita. Così in un giorno d'estate le onde si adunano, si sollevano e ricadono, e pare che il mondo intero dica "Ecco, è tutto", sempre più gravemente, fino a che anche il cuore del corpo disteso al sole sulla sabbia ripete "Ecco, è tutto"». 
(La signora Dalloway, ed. Mondadori. Trad. it. di Alessandra Scalero) 

«È vero che le donne che lavorano nella pubblica amministrazione meritano di essere pagate tanto quanto gli uomini; ma è anche vero che non vengono pagate altrettanto. La disparità è dovuta all'atmosfera». 
(Le tre ghinee, ed. Feltrinelli. Trad. it. di Adriana Bottini) 

«Non sembra anche a te che le amicizie siano come lunghe conversazioni, continuamente interrotte, ma che con ogni persona girano sempre intorno allo stesso argomento? Con Lytton parlo di letture; con Clive di amore; con Nessa della gente; con Roger di arte; con Morgan di scrittura; con Vita... beh, di cosa parlo con Vita?» 
(Lettera a Vita Sackville West, 28 febbraio 1927, in Tutto ciò che vi devo, ed. L'Orma. A cura di Eusebio Trabucchi) 

«Vediamo la sua Venezia da un piccolo tavolo sulla Piazza, mentre portiamo un bicchiere alla labbra. [...] La sua pittura ha una qualità tangibile; non è fatta d'aria e polvere di stelle, bensì di olio e terra. Desideriamo stendere le nostre mani sulle sue nuvole e i suoi pennacchi; sentire le colonne attorno e i cuscini solidi al tatto. Si può quasi sentire l'oro e il rosso gocciolare, con un piccolo spruzzo, nelle acque del canale». 
(Walter Sickert. Una conversazione, ed. Damocle. Trad. it. di Vittoria Scicchitano) 

«Si ha paura della solitudine; di vedere fino in fondo al vaso. Questo ho provato, qui, in certi agosti, arrivando allora alla coscienza di ciò che chiamo "realtà": qualcosa che vedo davanti a me, qualcosa di astratto ma che risiede nelle colline o nel cielo; rispetto alla quale niente conta; nella quale riposerò e continuerò a esistere. Realtà, la chiamo. E a volte penso che questa è la cosa che mi è più necessaria: quella che cerco».
(Diario di una scrittrice, ed. Minimum fax. Trad. it. di Giuliana de Carlo) 

«Quel giovane semplice che conoscevo appena, aveva dunque celato in sé l'immenso potere della morte. Cessando di essere aveva rimosso i confini e fuse insieme le separate entità - qui nella stanza con le finestre aperte e il canto degli uccelli fuori. Silenziosamente si era ritirato e mentre la sua voce era niente il suo silenzio è profondo. Ha steso la vita come un mantello perché noi ci passiamo sopra. Dove ci conduce? Arriviamo al bordo e cerchiamo. Ma lui è andato oltre; [...] non c'è più. E noi dobbiamo tornare indietro».
("Simpatia" in Oggetti solidi. Tutti i racconti e altre prose, ed. Racconti. Trad. it. di Adriana Bottini e Francesca Duranti) 

«Lassù in cielo combattono giovani inglesi contro giovani tedeschi. [...] Come può una donna lottare per la libertà senza armi? Fabbricandole, oppure fabbricando vestiti o alimenti. Ma c'è un altro modo di lottare senza armi per la libertà. Possiamo lottare con la mente; fabbricare delle idee». 
("Pensieri di pace durante un'incursione aerea", in Voltando Pagina. Saggi 1904-1941, ed. ilSaggiatore. A cura di Liliana Rampello)

8 gennaio 2017

La realtà storica di Downton Abbey

Dopo diversi anni, questo è stato il primo inverno senza Downton Abbey. La sesta e ultima stagione è andata in onda su ITV l’anno scorso e, da irragionevole appassionata della serie quale sono, nel corso degli ultimi mesi ho dovuto attrezzarmi contro la nostalgia, che si sarebbe sicuramente manifestata durante queste vacanze di Natale, procurandomi qualche lettura “di conforto”. Grazie a riserve bibliotecarie online e alle preziose rimanenze di magazzino delle librerie tedesche ho potuto mettere le mani sulle sceneggiature originali delle prime tre stagioni (libri interessantissimi, soprattutto nelle note esplicative di Julian Fellowes, che offrono informazioni storiche, ritratti sociali e curiosi aneddoti sulla produzione della serie TV) e sui due splendidi volumi fotografici Behind the Scenes at Downton Abbey di Emma Rowley e Downton Abbey: A Celebration. The Official Companion to All Six Series di Jessica Fellowes. 
La lettura più recente è stata invece Lady Almina e la vera storia di Downton Abbey di Fiona Carnarvon, l’attuale contessa di Highclere Castle (nello Hampshire, è la residenza che ha “interpretato” in televisione la casa dei Grantham). Il timore che avevo aprendo la prima pagina, cioè che si trattasse di una storia “rosa”, più romanzata che accurata, si è dissipato in fretta. Il libro – che racconta la vita di Lady Almina, figlia illegittima del ricchissimo Alfred de Rothschild, e moglie di George Herbert, quinto conte di Carnarvon – è infatti scritto bene, in uno stile asciutto e concreto. Le vicende della protagonista assomigliano per molti versi a quelle della Lady Cora della serie televisiva, soprattutto nella descrizione della straordinaria opulenza dell’era edoardiana e ancor di più quando scoppia la prima guerra mondiale (e Highclere, come Downton, diventa un convalescenziario di lusso per ufficiali). La sezione dedicata alla Grande Guerra è particolarmente attenta e coerente: una sorta di reportage storico di grande interesse. 


Altrettanto avvincente è la seconda parte del libro, in cui si narrano le avventure del marito di Almina. Solo quando ho visitato Highclere due anni fa ho scoperto della passione del Conte per l’egittologia e del suo epico contributo alla storia dell’archeologia: grazie alle ricchezze della sua famiglia, Lord Carnarvon finanziò gli scavi dello studioso e amico Howard Carter a Tebe e poi nella Valle dei Re, dove i due si misero alla ricerca delle tombe mancanti di due faraoni di cui all’epoca si conosceva ben poco (Amenothep IV e Tutankhamon). Gli scavi durarono cinque anni e prosciugarono a tal punto le finanze del conte che, nell’agosto del 1922, si decise di rinunciarvi e di fare un solo ultimo tentativo. Miracolosamente, nel novembre successivo Carter trovò una tomba sconosciuta, la cui apertura rivelò un ricchissimo corredo funebre, ancora posizionato esattamente come millenni prima. Nei mesi che seguirono, la continuazione degli scavi dentro la tomba portò alla scoperta del sarcofago di Tutankhamon: Lord Carnavon, però, non vi poté assistere, perché morì al Cairo di erisipela (in seguito all’infezione di una puntura di una zanzara) nell’aprile del 1923.

Un post sulla serie televisiva: «I Crawley e gli altri: il conflitto etnico e sociale a Downton Abbey»
Qualche immagine della Highclere prima della serie tv si può vedere qui 


3 gennaio 2017

Letture di Natale (nel segno del giallo)

Cari lettori di Ipsa Legit, apro quest’anno nuovo con il racconto dei libri che mi hanno fatto compagnia durante le feste natalizie. Dopo tanti mesi in cui mi sono dedicata solo alla letteratura ottocentesca, rileggendo romanzi e facendo varie ricerche tra saggi e articoli di critica letteraria, per le vacanze ho scelto il genere “leggero” che mi piace di più: il giallo. Questa particolare e amatissima forma di narrativa è sempre l’ambiente in cui vado a rifugiarmi quando voglio leggere in spensieratezza, senza adottare tecniche analitiche del testo e senza pensare a come trasformarlo nel soggetto di uno studio critico: non a caso, è durante i giorni più caldi dell’estate o nel periodo di Natale che scelgo questi libri – momenti di riposo e di “svuotamento”, in cui con la scrittura del mistero la mente si rilassa, pur rimanendo ben sveglia e divertendosi un sacco. 
Ho parlato del mio interesse per il giallo in questi vecchi post, nei quali, naturalmente, le caratteristiche identitarie si rivelano sempre essere la lingua inglese (ho tentato altri lidi, ma alla fine non riesco a non tornare lì…) e la penna femminile: ho dedicato due “puntate” alla storia della detective fiction dell’età dell’oro, che ha raggiunto la gloria e il successo anche e soprattutto grazie ad Agatha Christie, Margery Allingham, Dorothy L. Sayers e Ngaio Marsh, in
e in altri due post ho tentato di spiegarmi come mai siano state proprio le donne a eccellere in questo genere di scrittura:
Due dei libri di queste ultime feste appartengono proprio a Dame Ngaio Marsh (1895-1982), neozelandese, celebre autrice di una serie di trentadue gialli in cui il protagonista è lo sfuggente ispettore Roderick Alleyn. Di Marsh la casa editrice Elliot ha recentemente pubblicato in italiano il secondo e il dodicesimo libro della serie: Delitto a teatro (Enter a Murderer, 1935), che ho trovato davvero bello – proprio quello che mi serviva per scollegare i pensieri dalla quotidianità! – e Morte in agguato (Death and the Dancing Footman, 1941) che inizierò a leggere la prossima settimana. Altre opere di quest’autrice sono state tradotte negli anni nella collana dei Gialli Mondadori (trovate l’elenco qui). Quelli di Ngaio Marsh sono gialli classici, che rispettano le regole auree della letteratura del genere: strutturati in modo illuminato, senza lasciare alcun dettaglio al caso, stimolano l’intelligenza del lettore e contemporaneamente lo rassicurano, perché promettono, immancabilmente, la risoluzione finale del caso. Altra storia un po’ thriller (ma non troppo) che ho letto in questi giorni è La classe dei misteri di Joanne Harris – la più recente pubblicazione dell’autrice di Chocolat. Ho scelto questo libro perché è il seguito di La scuola dei desideri, che avevo trovato davvero ben scritto e contraddistinto da un colpo di scena finale da lasciare senza fiato: sebbene questo sequel sia sufficientemente suspenseful, devo dire che purtroppo non ha raggiunto la qualità del suo precedessore. 
Per chiudere, proprio tra la vigilia e il giorno di Natale mi sono immersa nella lettura di una piccola antologia di racconti gialli firmati dalla grandissima P.D. James (1920-2014, di cui ho scritto qui): Un delitto per Natale e altri racconti (Mondadori). Di queste quattro short stories (in due delle quali il protagonista è un giovanissimo Adam Dalgliesh) la prima è deliziosamente perfetta nella sua brevità: James gioca con la rievocazione (e la precisa citazione) dei tratti del mondo di Agatha Christie, ma infine sovverte le convenzioni e lascia l’inconfondibile traccia di una scrittrice contemporanea, che fa rabbrividire più di qualunque omicidio risolto da Hercule Poirot. Il racconto è ambientato durante le feste di Natale del 1940, in una residenza signorile: «d’un tratto la luna spuntò dietro una nube e illuminò in pieno la casa, avvolgendola con una luce bianca e svelando tutta la sua bellezza sospesa tra simmetria e mistero»; «Ricordo i grossi ceppi che bruciavano nel camino, i ritratti di famiglia, l’aria vissuta e confortevole, e intorno ai quadri e alle porte le ghirlande di vischio e di agrifoglio». Un’atmosfera impeccabile, perché offre giusto la sensazione di pace e di conforto che può essere incrinata solo… da un delitto perfetto.