7 ottobre 2016

La casa nella brughiera

È di questi giorni l'annuncio del debutto sulla scena letteraria italiana di La casa nella brughiera (The Moorland Cottage), pubblicato da Edizioni Croce a cura di Raffaella Antinucci.
La casa nella brughiera è una delle novelle di Elizabeth Gaskell (insieme a Cousin Phillis, A Dark Night’s Work e My Lady Ludlow) ed uno dei suoi scritti più commoventi, dallo stile più bello e poetico. Pubblicato nel 1850 per l’editore Chapman (con il quale Gaskell ebbe un rapporto sempre difficile), è un racconto di campagna dall’andamento misurato, dominato dalla struggente bellezza della brughiera dell’Inghilterra centrale. La trama si svolge intorno alla storia d’amore tra la figlia di una vedova povera – una donna del tutto incapace di fare la madre – e il rampollo di un ricco gentiluomo del posto; il loro rapporto però è reso accidentato dalle intemperanze del fratello di lei, ambizioso e viziato sin dall’infanzia, il cui carattere presto scivola nella freddezza e nell’immoralità. 
In questo racconto lungo, Elizabeth Gaskell, pur agli esordi della sua carriera di scrittrice, dimostra un finissimo talento per la strutturazione dei dialoghi, che rivelano la sua profonda conoscenza della psicologia dei bambini e degli adolescenti. Maggie, la protagonista, è una ragazzina piena di sogni complessi e d’amore incompreso, una sorta di “bozza” di quello che sarà l’ultimo personaggio della penna di Gaskell, la Molly Gibson di Mogli e figlie (tutto il racconto è, in realtà, una prova del grande romanzo finale): assistiamo alla sua crescita in un ambiente domestico ostile, con una madre gelida, negligente e vanesia, alleviato dalla presenza di un’amica dell’alta società – una figura materna piena d’affetto per lei – che è il chiaro prototipo di Mrs. Hamley.
Quest’opera anticipa anche altri temi della narrativa matura di Elizabeth Gaskell, come per esempio le atmosfere fiabesche evocate dentro la testa dei bambini, l’esplorazione della stagionalità come archetipo dell’esistenza umana (come in Cousin Phillis) la rappresentazione dei pericoli dell’orgoglio e dell’ambizione sfrenata (come in A Dark Night’s Work) e la ricerca della solitudine da parte di una giovane donna sconcertata dal dolore (come in Gli innamorati di Sylvia).
Una scena, in particolare, mi è rimasta nel cuore, perché per me è proprio l’emblema della scrittura di Elizabeth Gaskell. Inizia infatti con uno dei suoi ineguagliabili ritratti autunnali: «L’aria sulle alture era così immobile che niente sembrava muoversi. Di quando in quando una foglia gialla fluttuava al suolo, staccatasi dall’albero non per un atto violento ma solo perché la sua vita aveva raggiunto il limite ed era finita. I boschi distanti e riparati splendevano d’arancio e cremisi, ma la loro gloria non era che il segno dell’anno che declinava verso la morte. Anche senza provare un dolore intimo, la sublime solennità della stagione lasciava traccia nella mente dell’uomo, la quietava, e la incoraggiava a placide riflessioni» e prosegue con l’incontro dei due protagonisti accanto al fuoco, in cerca di reciproco conforto. Proprio del significato del fuoco come accentratore delle emozioni umane tratta l’ultimo capitolo del mio saggio Elizabeth Gaskell e la casa vittoriana.