22 gennaio 2015

Ricordo della Regina Vittoria

Oggi, 22 gennaio, è l’anniversario della morte della Regina Vittoria, la cui straordinaria longevità sul trono (63 anni) potrebbe essere superata, proprio quest’anno, dalla sua augusta erede, Elisabetta II. Ripensare oggi alla donna che diede il nome all’epoca forse più sensazionale dell’identità culturale britannica, il Vittorianesimo, significa sfogliare un massiccio libro di storia e leggervi le vicende di poco meno di un secolo, degli eventi politici, dell’arte, della scienza, della letteratura, delle innovazioni economiche e sociali che ne hanno fatto un’età affascinante ma anche difficile da interpretare. 
Ritratto ufficiale della Regina Vittoria (1843)
Sua Maestà nacque il 24 maggio dell’anno 1819, e il successivo 24 giugno l’Arcivescovo di Canterbury la battezzò Alexandrina (in onore dell’imperatore Alessandro di Russia) Victoria. Dell’infanzia della futura regina non si sa molto – lei stessa ne parlò poco nei propri diari – ma le testimonianze di chi la incontrò da bambina concordano nel definirla allegra, giocosa, sempre pronta a impegnarsi nello studio quanto a dedicarsi all’esercizio fisico. Le fu presto insegnato a non sprecare mai il proprio tempo, e gli anni della fanciullezza furono spesi nella perfetta regolarità delle ore dei pasti, del sonno, dei periodi trascorsi all’aria aperta. Era una ragazzina graziosa, sempre di buon umore, la cui incantevole voce allietava le stanze della casa materna. 
L’esistenza di Victoria, così pacifica e lieta, era però destinata a finire presto. Quando lei aveva appena compiuto diciotto anni, il Re morì. Era il 20 giugno 1837. Victoria fu svegliata dal sonno nella sua camera a Kensington Palace, e tali furono la fretta e la concitazione del momento che la ragazza si presentò agli onorabili Pari, venuti a portarle la notizia, ancora in camicia da notte. I presenti raccontano che, pur giovanissima, ella ricevette la comunicazione con compostezza e regale accettazione. È stato scritto che, qualche ora dopo, mentre le campane di San Paolo salutavano la dipartita del re, quando i Principi si presentarono a renderle onore e a baciarle la mano, ella arrossì profondamente, e questo fu il solo segno di emozione che il suo volto non riuscì a trattenere. 
Il giorno dell’incoronazione, il 28 giugno 1838, fu un giorno di giubilo. Il tempo era splendido, e il rombo del cannone della vecchia Torre riecheggiava contro un cielo perfettamente azzurro. Ovunque, Londra traboccava di gente. Il corteo partì da Buckingham Palace alle 10 del mattino, e la carrozza della Regina, tirata da otto cavalli color crema, sfilò tra la gente, sotto i balconi e le finestre aperte da cui i bambini lanciavano fiori. L’inno nazionale era spesso interrotto da alte grida di gaudio. Sua Maestà arrivò all’Abbazia di Westminster, tutta adornata di cremisi e d’oro e delle alte uniformi degli ufficiali, affollata di Principi e ambasciatori stranieri: cantori vestiti di bianco e i trombettieri con le giubbe di porpora accompagnavano il marciare dell’organo. Vicino all’altare, la sedia che ha ospitato l’incoronazione di tutti i sovrani britannici da Edoardo il Confessore in avanti aspettava la sua nuova Regina, che, vestita di velluto rosso, d’ermellino e di pizzo dorato, si avvicinò all’altare e giurò sulla Bibbia; tra gli inni, i canti, la sacra unzione, le benedizioni, ricevette poi sul capo la corona, simbolo della maestà. 
Altrettanto sfarzo, sontuosità ed esultanza accompagnarono un secondo corteo, quando la processione che seguì la Regina verso la cappella di St. James, nel giorno delle nozze con il principe Albert Saxe-Coburg-Gotha, poté ammirare il suo abito di pizzo bianco adornato di fiori d’arancio. Quel giorno, il 10 febbraio 1840, segnò l’inizio di un cammino coniugale fortunatissimo: i due sposi, cugini di primo grado, si amarono molto, e Victoria poté trovare nel marito un alleato forte, sicuro, colto, dal carattere integro, rare doti intellettuali, grazia nel portamento, magnanimità, gaiezza, lealtà e bellezza. Nei suoi confronti ella si sentì sempre in debito di riconoscenza, e molto spesso nel corso della loro vita insieme Sua Maestà si adoperò affinché il Principe ricevesse anche dal Parlamento e dal popolo la considerazione che meritava. Sul proprio diario, nel giorno del fidanzamento, ella scrisse: «Albert si è completamente preso il mio cuore, e tutto è stato deciso tra noi questa mattina. Sono convinta che mi renderà felice. Vorrei poter essere sicura di renderlo altrettanto felice, ma quel che è certo è che farò del mio meglio». Il Principe Albert fu per lei un compagno affettuoso, un amico, un mentore, e il padre dei suoi nove figli; la sostenne nei difficili momenti degli attentati alla sua vita (Victoria rischiò di essere assassinata pochi mesi dopo le nozze e per tre volte solo nel 1842), fu il suo più fidato consigliere politico e la accompagnò nell’esplorazione degli angoli più belli del Regno. Insieme i due sposi comprarono una casa all’Isola di Wight e acquistarono il castello di Balmoral, in Scozia: di questo luogo Victoria si innamorò subito, e desiderò sempre tornare a camminare fra le montagne, rincorrere le acque dei torrenti, e sedere sulle sommità delle colline più dolci, fra le onde dell’erica. 
Esposizione Universale al Crystal Palace
Sarebbe tuttavia un errore guardare alla persona del Principe solamente come a quella di un silenzioso, ancorché operoso, assistente della sovrana. Al suo nome sarà sempre legata l’Esposizione Universale del 1851: di quel prodigioso spettacolo, orchestrato in un tempio di cristallo, la Regina stessa scrisse: «Sono tornata sopraffatta dalla miriade di bellezze e di meraviglie che abbagliano lo sguardo. Dio benedica il mio caro Albert, e la mia cara patria, che si è mostrata così magnifica in questo giorno! Sembra che il buon Dio pervada e benedica tutto questo». L’Esposizione, inaugurata il 1 maggio, mise in scena una sequela di concerti e parate militari, ma soprattutto di opere dell’ingegno umano: i suoi sei milioni di visitatori ammirarono telai e spigolatrici meccaniche, dagherrotipi, revolver, barometri, diamanti, manufatti di origine celtica e altre centinaia di portenti. Per tutta la sua vita (finita forse troppo presto, nel 1861), il Principe Albert si appassionò alla scienza, alla meccanica e alle migliorie tecniche che avrebbero guidato l’evoluzione dell’economia britannica. 
Il progresso scientifico è stato solo uno dei tratti distintivi del Vittorianesimo. La scienza è stata la naturale compagna di un’era in cui l’essere umano iniziò a sentirsi incalzato dal dubbio intellettuale e dai tormenti dello spirito; in cui la letteratura, principale specchio dell’anima, disegnò figure ambigue, dalla doppia identità, riflessi bipolari del Bene e del Male. Fu un’era in cui l’ossessione per una politica insulare si proiettò e moltiplicò in decine e decine di possedimenti sparsi sulla superficie del globo, e nei quali gli ideali dell’umanitarismo, della filantropia, della solidarietà si trasformarono in cieco sfruttamento e in avidità lordata di sangue. 
Fotografia della Regina Vittoria
nell'anno del Giubileo di Diamante
In patria, lo sfrenato sviluppo economico si fece cieco e sordo ai bisogni dei bambini, alla disperazione di tante donne, e alle dolorose esigenze di uguaglianza. La moralità per cui la società dell’Inghilterra di Victoria si è resa famosa non ha saputo distendere lo sguardo oltre le pareti dei salotti e spingersi fin dentro gli angoli delle strade più buie delle città industriali; il fulgore della Regina, così risplendente nella vastità dei parchi cittadini, nelle stanze regali, nelle sale dei musei che insieme a suo marito ella ha lasciato all’umanità (il Victoria and Albert Museum e il Museo di Storia Naturale), è sembrato andar scemando, come una candela, a cospetto dell’orrore dei sobborghi urbani, degli abusi perpetrati in Irlanda e delle efferatezze in atto nelle colonie ai danni degli indigeni. 
I lunghi anni di vedovanza della Regina, sempre con gli abiti a lutto e l’espressione severa, hanno fatto di lei la personificazione del suo Regno, e una sorta di monumento culturale, nel bene e nel male. Il patrimonio che ha lasciato ai posteri è di valore incalcolabile, e forse siamo soprattutto noi lettori a beneficiarne maggiormente: il romanzo vittoriano inglese, con le sue grandezze stilistiche, le sue analisi sociali e la sua rappresentazione dell’Io, è una forma letteraria dal carattere immortale, forgiata dalle penne di Dickens, Thackeray, Trollope, Gaskell, le sorelle Brontë, George Eliot. Traguardi eguagliati solo, non molti anni dopo, dall’erede ribelle della narrativa vittoriana: il romanzo modernista.