8 maggio 2014

Riflessioni sulla traduzione letteraria

Siamo ormai alla vigilia del debutto di Gli innamorati di Sylvia al Salone del Libro del Torino. Questo volume, pubblicato dalla casa editrice Jo March, è la mia traduzione in italiano di Sylvia’s Lovers di Elizabeth Gaskell e segna il compimento della mia prima prova da traduttrice di un romanzo intero. Per quanto l’attività di traduzione faccia parte da anni della mia quotidianità (ho tradotto innumerevoli brani di latino e greco al liceo e poi, dopo la laurea in lingue e il dottorato in inglese, stralci di tesi, testi tecnici, pannelli per musei, saggi, introduzioni, lettere, articoli di giornali e riviste), Sylvia’s Lovers è stata la prima occasione in cui mi sono cimentata nella versione in italiano di un libro completo, dall’incipit all’ultima riga. È stata un’avventura lunga quasi dieci anni - perché tradurre “a tempo perso” implica, com’è ovvio, lunghe pause in cui è necessario dedicarsi a un lavoro “normale” (nel mio caso, l’insegnamento) - e che ha conosciuto una forte accelerazione solo negli ultimi mesi. Lasciare la scuola per trasferirmi a Berlino e lavorare da insegnante freelance mi ha concesso molta più libertà, e conoscere nello stesso periodo le due brillanti e coraggiose anime di Jo March ha dato alla mia traduzione del romanzo da una parte lunghi spazi di quiete e di ininterrotta concentrazione, e dall’altra la motivazione e il giusto entusiasmo per portare a termine l’impresa.
La traduzione letteraria, non c’è dubbio, è sempre un’impresa. Oltre alla conoscenza della lingua di arrivo (nel nostro caso l’italiano) e alla padronanza della lingua di partenza (l’inglese), esige una certa confidenza con il contesto storico della vicenda narrata nonché della biografia dell’autore, perciò accade che le difficoltà e i dubbi che insorgono di fronte a un periodo, a una battuta, a un idiom o a una metafora siano così tanti e così grandi da rischiare di scoraggiarci e indurci a lasciar perdere.
Per Gli innamorati di Sylvia gli ostacoli sono stati numerosi, nonostante conoscessi l’Autrice e il romanzo abbastanza bene (sono stati il soggetto della mia tesi di laurea). Innanzitutto si tratta di un romanzo vittoriano, e molto spesso la sintassi si è rivelata decisamente lontana da quella dell’inglese contemporaneo. In secondo luogo, affrontare la traduzione di un romanzo storico richiede necessariamente uno studio e una ricerca consistenti sull’epoca e sulle vicende realmente accadute che fanno da cornice alla narrazione, talvolta insinuandosi nei capitoli della fiction fino a far perdere la percezione della differenza tra verità e fantasia. Gli innamorati di Sylvia inizia nell’ultimo decennio del diciottesimo secolo e si chiude agli albori del diciannovesimo: è un’era complessa per l’Europa e per l’Inghilterra, poiché alle nuove istanze liberali di respiro internazionale e alle questioni sociali insorgenti dall'affermazione della middle class, la classe "borghese", si accompagna l’esperienza della guerra contro la Francia, con l’annesso terrore dell’invasione del territorio patrio e la conseguente repressione della libertà individuale. Il romanzo, tuttavia, è una storia “degli umili”, perché i suoi protagonisti non sono i grandi generali, ma la gente comune, che vive in una porzione di Inghilterra così particolare da renderla separata – come afferma l’Autrice stessa – dal resto del Regno.
Ecco dunque che la traduzione di una storia dello Yorkshire ha suscitato ulteriori interrogativi: il libro abbonda di citazioni di usi e costumi locali relativi all’abbigliamento, alle mille occupazioni di una fattoria (il padre della protagonista è un contadino), al cibo, ai giochi e alle leggende tradizionali. Per non parlare della dimensione dominante e più suggestiva evocata dal romanzo, quella del mare e della caccia alle balene, nella cui descrizione sono coinvolte decine di parole tecniche e di espressioni gergali. Il linguaggio usato dai personaggi ha certamente costituito lo scoglio più arduo. Tutti loro, ma con forza particolare gli anziani e i meno eruditi, parlano il dialetto dello Yorkshire, che molto spesso si distanzia dall’inglese standard in modi imprevedibili, talvolta incomprensibili. Osservare le parole scritte sulla pagina del testo originale ha frequentemente causato momenti di perplessità e di perdita delle speranze! Solo pronunciare ad alta voce quelle battute, magari tentando di rievocare sonorità, accenti, cadenze (in questo, devo dire, mi ha aiutato persino guardare Downton Abbey in lingua originale: l’inglese della maggior parte dei domestici è proprio quello dello Yorkshire), mi ha restituito il significato preciso di quanto stavo leggendo.
Un’ulteriore sfida alla traduzione è dipesa dal fatto che Gli innamorati di Sylvia è un libro denso di emozioni di vario genere, ma tutte profondissime, cosicché è stato necessario “entrare” nella mente e nel cuore dei personaggi per tradurre non solo i loro discorsi diretti, ma anche i loro flussi di coscienza, che, quasi come in un’avanguardia della narrativa novecentesca, filtrano e impregnano la maggior parte delle pagine dedicate ai tormenti interiori dei protagonisti (e specialmente di Philip Hepburn). Talvolta la storia richiede che si chiudano gli occhi e si immagini di provare i sentimenti dei personaggi fino al punto di appropriarsene, e spesso di commuoversi.
Foto di Mara Barbuni (2011)
Anche le descrizioni dei paesaggi, che non sono mai riferite oggettivamente, “in terza persona”, ma sono sempre influenzate e quasi forgiate dalle sensazioni della gente, hanno preteso, per così dire, un distaccarsi dal presente del mio tavolo, del mio computer, della città fuori dalla finestra, del ventunesimo secolo, a favore di una totale immersione in un mondo lontano. Ho riguardato decine di volte le fotografie del mio viaggio in Scozia (il cui paesaggio marino è simile a quello dello Yorkshire; anche le isole Shetland, inoltre, hanno subito il tragico passaggio delle squadre di coscrizione obbligatoria, raccontato in Gli innamorati di Sylvia), ho riprodotto alcuni miei video sulle scogliere per ascoltare il rumoreggiare del mare, e ho ripercorso le passeggiate inglesi che mi hanno impresso nella memoria il verde brillante e il bruno intenso di quei campi, il rosso fuoco di quei tramonti del Nord, il contrasto tra l'oro delle messi e un cielo nuvoloso, la solitudine di certi cottage immersi fra le spighe, l’azzurro cupo e spesso il grigio tempestoso delle distese marine.
Tradurre Sylvia’s Lovers è stato un vero viaggio: un viaggio nel tempo, nello spazio, nella Storia e nella letteratura. Ringrazio di cuore Lorenza e Valeria di Jo March: percorrere con loro questo cammino ha dato luogo a confronti interessantissimi di natura linguistica, teorica, storica, e persino emotiva. E ringrazio il professor Francesco Marroni, tra i maggiori esperti gaskelliani nel mondo e vicepresidente della Gaskell Society, che ci ha fatto l'onore di contribuire a questa pubblicazione con una Introduzione di altissimo livello critico.
Il volume sarà presentato al Salone del Libro di Torino, e nelle prossime settimane sarà disponibile per l’acquisto, sia in libreria che sul sito www.jomarch.eu.
Non vedo l’ora di ripartire per questo viaggio insieme a voi.