22 settembre 2013

La parola alla città

In occasione del mio ennesimo (e speriamo l'ultimo, almeno per un po'...) trasloco nel nuovo appartamento del quartiere di Friedrichshain, torno a parlarvi di Berlino.
E lo faccio approfittando della mia lettura più recente, che fa del nome della città il proprio titolo, infilato come una freccia su una copertina dalle reminiscenze cubiste. Berlin è infatti il libro che Eraldo Affinati (pochi giorni fa ospite al Festival della Letteratura di Mantova) ha dedicato al mondo variegato e dalla storia pesante racchiuso fra i confini della capitale tedesca. Il Prologo è un incipit memorabile, e racchiude in poche righe le sensazioni che tutti i visitatori consapevoli provano quando arrivano in Germania: "Man mano che mi avvicinavo, le fattezze berlinesi parevano prendere consistenza: nella modernità lancinante di Hannover, sul portone delle tesi luterane di Wittenberg, in quella stupenda aria di nobiltà che mi comunicò Lipsia. A Düsseldorf, nei pressi del Reno, dove le autostrade entrano in città alla maniera di spade nel fodero; perfino nello scarto drammatico fra l'altura minacciosa di Buchenwald, dove Goethe veniva a meditare sotto l'albero e i deportati morirono a migliaia, e lo straordinario centro storico di Weimar, culla della civiltà occidentale. In tutti questi luoghi sentivo battere il cuore elettrico di Berlino: ne registravo la scansione che, insieme ai fantasmi del passato, mi spingeva a superare il Novecento, in avanti, verso il futuro, ma anche indietro, nei secoli trascorsi".
Così, con una sentita ode alle bellezze della Germania (a noi forse poco note, perché certe ferite nella memoria collettiva sono difficili da guarire...), Affinati entra nella città, e ansioso solamente di una lunga passeggiata, sembra abbandonare la penna dello scrittore e lasciare la parola a lei stessa, ai monumenti, agli alberi, alle voci dei ricordi, ai passanti che incontra sulla sua via. Noi lettori siamo chiamati a seguirlo e restiamo incantati dal suo modo delicato di raccontare e dal suo sguardo attento, vivido, che attira la nostra attenzione su grandi distese e piccoli dettagli, sulla normalità contemporanea e sulla maestosità del passato.
Il libro, diviso in sette capitoli intitolato ciascuno a un giorno della settimana (può essere usato anche come guida) e a un pronome personale, è un cicerone che ci invita a chiacchierare con Berlino, e ad ascoltarla: parliamo con la Siegessaeule, con Friedrichstrasse, con i resti del Muro, con la Porta di Brandeburgo, con le statue di Marx ed Engels, con la torre della televisione, con i negozi, con il currywurst, con Friedrich Schiller e Marlene Dietrich, con il Brachiosauro del Museo di Storia Naturale, con le piazze e con Checkpoint Charlie, con il Parlamento e Einstein, con il castello di Sanssouci e il caffè di Starbucks, con i quadri della pinacoteca, con le fermate della metropolitana e con Max Frisch, le ambasciate e gli zoo, i musei e i monumenti, la birra, l'Oberbaumbruecke.
  
Il ponte Oberbaum, simbolo di Friedrichshain
E così finiamo proprio a Friedrichshain, la mia nuova casa. A questo quartiere ("Bezirk") Affinati dedica un pensiero forte, ispirato dalla Frankfurter Allee che lo attraversa e che fu teatro dell'ultima vittoria dei russi contro le difese naziste: questo Bezirk è infatti il simbolo dell'identità di Berlino, delle sue cadute e le sue vittorie, del suo essere "il fucile e insieme il bersaglio del Novecento". I suoi enormi viali, con la torre di Alexanderplatz sullo sfondo del cielo nuvoloso, ci ricordano che le ferite della Storia sanguinano, si rimarginano e si riaprono ancora, in un costante ricorso di dolore e di evoluzione. E che le sue orme non devono mai essere cancellate.