26 agosto 2012

The Lake of Dreams

Loch Ness, Scotland. Foto di Mara Barbuni (2009)

Il pluripremiato The Lake of Dreams (pubblicato in Italia da Garzanti con il titolo Un giorno mi troverai) dell'autrice best-selling Kim Edwards mi ha riportato alla mente le atmosfere placide e silenziose di Loch Ness, che a dispetto della tradizione e delle leggende è un luogo incantato, fiabesco e di assoluta dolcezza.
La cornice lacustre della storia di Lucy Jarrett non è né casuale né accessoria: la donna ritorna a casa della madre dopo molti anni trascorsi all'estero e rivive, ai margini del lago, la dolorosa vicenda della morte del padre, avvenuta anni prima proprio nelle sue acque, riscoprendo in se stessa i desideri della giovinezza, il senso della tragedia, la necessità dell'abbandono. Il libro racconta la ricostruzione dell'identità di Lucy attraverso la sua ricerca delle radici di famiglia: un fascio di lettere dimenticate e la ricorrenza di alcune simbologie nelle vetrate della cappella locale la spingono verso una quest che approderà non solo alla rivelazione di un mistero ma anche alla ricomposizione degli affari di famiglia. 
La narrazione è abbastanza lenta, e indugia nelle descrizioni dei paesaggi raggiungendo spesso anche una scrittura molto bella: "[...] in the mountains, spring lingered. The hydrangeas were just beginning to boom, their clusters of petals faintly green, bleeding into lavender and blue, pressing densely against the windows of the train" [in montagna perdurava la primavera. Le ortensie avevano appena cominciato la fioritura, e i loro mazzi di petali verde chiarissimo, digradanti nel lavanda e nell'azzurro, premevano densi contro i finestrini del treno]. Il passo del racconto sembra essere volutamente quieto, come se la scrittrice stessa si sia lasciata ammaliare dai ritmi quasi immobili del lago, dai rumori flebili delle onde che lambiscono la riva, dal costante ritorno di un'acqua imprigionata sempre fra le stesse spiagge, in un'eterna sospensione del tempo e dello spazio. Aleggia su questa storia uno struggente senso di precarietà, che è sia fisica che emotiva: Lucy è disoccupata e dubbiosa a proposito del futuro, sua madre sta pensando di vendere la casa di famiglia, e tutta la storia della sua ricerca gira intorno al ritrovamento di un capolavoro di arte vetraia che contiene gli indizi di un enigma che prima di allora nessuno aveva mai pensato a risolvere. 
L'acqua e il vetro, entrambi leitmotiv di questo romanzo, evocano suggestioni di transitorietà e fragilità, che percorrono l'intera lettura e non ci lasciano neanche dopo che si è girata l'ultima pagina, e ai personaggi sembra essere stata data la possibilità di vivere un'esistenza più stabile. Al di là della storia narrata, infatti, al di là delle vicende personali e dei tanti (forse troppi) motivi distribuiti, raccolti, abbandonati e ripresi nel libro, l'immagine che ci perseguita alla fine della lettura è solo quella del lago, silenzioso, oscuro, chiuso nella sua immutabilità.