23 marzo 2012

Pienezza di vita

E' un pieno pomeriggio di fine giugno e la luce è così intensa da sembrare un'impalpabile nebbia di polvere d'oro. Le farfalle ciondolano da un fiore all'altro, appesantite dal calore, e il canto delle cicale si spande giù per le colline coperte di prati e di campi imbionditi dalle spighe. L'aria è immobile e ferme sono le cime dei cipressi scuri che guidano lo sguardo verso la villa sprofondata nel silenzio. Ed ecco levarsi una musica lontana, un'antica canzone italiana intonata da una voce di baritono...
Questa è l'immagine che si è levata davanti ai miei occhi leggendo Pienezza di vita. Racconti italiani di Edith Wharton, una raccolta di storie indimenticabili nelle quali la scrittrice americana ha riversato a piene mani tutto il proprio amore per l'Italia. I temi che vi si ritrovano sono molto simili alla grande narrativa europea del narratore eccelso, Henry James: l'americano in viaggio sul continente alla ricerca di una bellezza che al suo Paese non può appartenere, perché è piena di storia; la donna tormentata da una segreta malinconia, perché nutre desideri destinati a non realizzarsi mai; la languida inermità dei turisti danarosi; antichi segreti nascosti dietro gli scuri socchiusi di inaccessibili palazzi rinascimentali. 
La raccolta si apre con la descrizione del momento appena precedente alla morte di una donna che ha commesso suicidio, ed evoca un paesaggio che racchiude l'essenza di tutta la bellezza della vita: "Da ore giaceva in una sorte di lieve torpore, non dissimile da quella dolce prostrazione che si impadronisce di noi nel silenzio di un meriggio d'estate, quando la calura sembra aver messo a tacere perfino gli uccelli e gli insetti, e, sepolti nell'erba fiorita dei prati, attraverso un'immota copertura di foglie d'acero guardiamo la vastità serena e inespressiva dell'azzurro". 
E così scrive un passeggero che sta visitando un'antica dimora, teatro di un terribile delitto: "Dalla loggia ornata di affreschi fatiscenti guardavo un viale sul quale le ombre proiettate dalla fila di cipressi creavano l'effetto di una scala a pioli, fino allo stemma ducale ed ai vasi mutili che sormontavano il cancello. Sul giardino, sulle fontane, sui portici e nelle grotte incombeva il meriggio. Sotto la terrazza, dove licheni giallo cromo avevano rivestito la balaustra di fini laminae d'oro, i vigneti declinavano verso la ricca valle serrata tra le colline. I pendii più bassi erano costellati di bianchi villaggi, come stelle che trapungono un crepuscolo estivo; e, più lontano, pieghe su pieghe di montagne azzurre, trasparenti come un velo contro il cielo." (trad. it. di G. Prampolini, Passigli Editori).
Un'ambientazione così descritta non è una carta da parati, e nemmeno un trompe d'oil dietro lo svolgimento delle storie: è un mondo quadridimensionale nel quale al lettore sembra di sprofondare, di doversi schermare gli occhi con la mano, di allontanare il ronzio delle api, di respirare il profumo del grano e di incontrare, nel silenzio, una donna non più ragazza fasciata in un abito edoardiano e un giovane che la segue, sfiorandole di tanto in tanto la mano, senza dire niente.


22 marzo 2012

Anna Letitia Barbauld

Ieri, in occasione della giornata mondiale della poesia, ho ripensato dopo tanti mesi ad Anna Letitia Barbauld (1743-1825), l'autrice inglese che è stata oggetto/soggetto della mia tesi di dottorato. Non è facile parlare di lei in un post, perché sono così numerose le suggestioni che il suo lavoro mi ha dato, e così tanti sentimenti sono ancora legati al ricordo di quel bellissimo periodo di studi. Ma ci sono versi di Barbauld che, per quanto del tutto sconosciuti alla maggioranza e talvolta respinti da alcune correnti critiche, possono rivaleggiare con la migliore poesia romantica, densi come sono di lirismo ma anche di ironia, di considerazioni sulla letteratura ma anche sulla scienza, e del coraggio di posizioni politiche radicali. E' giusto allora tentare di diffondere il loro messaggio.
Solo per un assaggio di questa grandezza traduco qui il passo da A Summer Evening's Meditation che ho citato ieri in inglese: l'io poetico si sta avventurando nel cosmo, alla ricerca tanto di un contatto con la divinità, quanto della propria identità di essere umano e di poeta. 

Il silenzio è profondo, ma è alta la lode!
Ma sono [le stelle] tutte silenti? O non c'è
una lingua in ogni stella che parla all'uomo
e lo persuade ad essere saggio; e non lo persuade invano:
questo culmine della mezzanotte è il mezzogiorno del pensiero
e la saggezza ascende al suo zenit insieme alle stelle.
In quest'ora immobile l'anima, cosciente di sé,
si rivolge al suo intimo e là vede uno straniero
di nobile stirpe, e di rango più che mortale;
un dio in embrione, una scintilla di fuoco divino,
[…]
Quale mano invisibile
mi spinge avanti attraverso pianeti luminosi
e inabitabili; e più lontano ancora,
verso i terribili confini della notte eterna,
verso solitudini di uno spazio vasto e spopolato,
verso i deserti della creazione, sterminati e selvaggi; 
dove sistemi in evoluzione e soli non ancora accesi
dormono nel grembo del caos; la mia fantasia allora si ripiega,
e il pensiero, sgomento, interrompe la sua audace ascesa. 

Foto di Mara Barbuni
Trovo sempre sbalorditivo e mi riempie d'orgoglio leggere parole come queste, scritte da una donna all'alba del Romanticismo (un movimento che, secondo la critica classica, sarebbe stato totalmente dominato da personalità maschili - Wordsworth, Coleridge, Byron, Shelley; l'opera di Keats è stata a mio parere un fenomeno a parte). E nel piccolo grande mondo di Barbauld si trovano tante sorprese come questa. Specialmente nella poesia scritta negli anni giovanili, che fu infatti ammirata ed elogiata da un vastissimo pubblico e anche dai letterati contemporanei, Barbauld esprime un dettato elevato stilisticamente e contenuti che spaziano su vari argomenti ma tengono sempre presente un tema per lei imprescindibile: la libertà umana. The Groans of the Tankard [I lamenti del boccale] passeggia delicatamente sul piano dell'ironia per deridere la piccola società accademica in cui Anna viveva; e celebra la poesia stessa definendola un giovanile "silver sound" [suono d'argento] che resiste, pur lieve, nell'aria piena dei rabbuffi degli anziani. Washing Day [Il giorno di bucato] racconta della grande forza e determinazione muliebre approfittando della cornice del bucato per paragonare la poesia alle bolle di sapone (con tutte le discussioni che si potrebbero fare sull'argomento: vi rimando per questo al mio sito, Reading Anna Barbauld).
The Mouse's Petition [La supplica del topolino] è una poesia ampiamente antologizzata perché celebra l'equità per tutti gli esseri viventi. E alcune poesie della maturità, come The Caterpillar [Il bruco], To Mr Coleridge e The First Fire [Il primo focolare] sondano gli abissi del cuore e dell'intelletto, studiando le malinconie, le solitudini e il bisogno della natura umana di affermarsi nel mondo in piena libertà.
Anche la biografia di Barbauld sembra riecheggiare i principi di autodeterminazione e di moralità presenti nella sua poesia. Studiando le sue opere, ho trovato che nella sua lunga vita ella ebbe l'opportunità di frequentare circoli di pensiero liberale e fortemente indipendente, e mi è piaciuto immaginare, basandomi sui fatti reali, cosa sarebbe accaduto se una personalità come la sua avesse deciso di intervenire nei movimenti rivoluzionari europei del suo tempo. Ho immaginato questa storia, e l'ho scritta.
Nel mio ebook, La rivoluzione segreta, ho creato un personaggio ispirato a Barbauld e alla sua poesia e le ho fatto vivere una storia all'insegna della ricerca della libertà. Perché credo sia davvero il momento, dopo duecento anni dalla pubblicazione della sua ultima opera, di far ascoltare le sue parole.


21 marzo 2012

Giornata mondiale della poesia

Dolce e chiara è la notte e senza vento. Forse il verso più bello di tutta la poesia italiana? 
Oggi è la giornata mondiale della poesia decretata dall'Unesco, e non c'è davvero niente di più bello a cui pensare nel primo giorno di primavera. 
Nell'ultimo post ho nominato velocemente il Sonetto 55 di Shakespeare, che è un po' un elogio della poesia stessa, della sua forza, della non-fisicità che la rende più longeva dei monumenti di pietra, e più calda dell'amore stesso, perché è l'abbraccio imperituro che lo conserva nel tempo.
Not marble, nor the gilded monuments 
Of princes, shall outlive this powerful rhyme;
But you shall shine more bright in these contents 
Than unswept stone besmear'd with sluttish time.
[Non il marmo, né i monumenti d’oro vivranno più della potente rima;
ma tu brillerai ancor più in questo coro che pietre private dal tempo in stima.]
La celebrazione dell'arte (poetica) e della sua invincibilità rispetto all'effimeratezza della nostra vita e del nostro sentire è anche il tema di Ode on a Grecian Urn di John Keats:
Bold Lover, never, never canst thou kiss,
Though winning near the goal – yet, do not grieve;
She cannot fade, though thou hast not thy bliss,
For ever wilt thou love, and she be fair!
[Amante audace, non potrai mai baciare 
Lei che ti è così vicino; ma non lamentarti 
Se la gioia ti sfugge: lei non potrà mai fuggire,
E tu l'amerai per sempre, per sempre così bella.]
Leopardi, Shakespeare, Keats - i poeti che hanno riempito i miei anni di formazione mi tornano tutti in mente oggi, in questa giornata in cui gli alberi di pesco riempiono l'aria già tiepida e i prati e le aiuole sono cosparsi di piccole viole selvatiche. Ma mi tornano in mente anche le solenni odi e i preziosi sonetti di Foscolo, la sublime poesia di John Donne, i luminosi versi di Anna Letitia Barbauld, l'autrice sulla quale ho scritto la mia tesi di dottorato. 
Di quando in quando ritorno a leggere il carme Dei Sepolcri del poeta veneziano, e ci sono sezioni che ogni volta evocano atmosfere più intense, come:
Rapìan gli amici una favilla al Sole
a illuminar la sotterranea notte
perché gli occhi dell'uom cercan morendo 
il Sole; e tutti l'ultimo sospiro
mandano i petti alla fuggente luce
o altre che in poche sillabe sanno riportare in vita tutto ciò che è stata la classicità:
Il navigante
che veleggiò quel mar sotto l'Eubea,
vedea per l'ampia oscurità scintille
balenar d'elmi e di cozzanti brandi,
fumar le pire igneo vapor, corrusche
d'armi ferree vedea larve guerriere
cercar la pugna; e all'orror de' notturni
silenzi si spandea lungo ne' campi
di falangi un tumulto e un suon di tube
e un incalzar di cavalli accorrenti
scalpitanti su gli elmi a' moribondi,
e pianto, ed inni, e delle Parche il canto.
Amo tutta la poesia che fa riferimento alla luce, e alle forme della luce e ai suoi contrasti. Amo gli idilli lunari di Leopardi e torno spesso a rileggere quel passo dalla Ginestra che recita:
Sovente in queste rive,
che, desolate, a bruno
veste il flutto indurato, e par che ondeggi,
seggo la notte; e su la mesta landa
in purissimo azzurro
veggo dall'alto fiammeggiar le stelle,
cui di lontan fa specchio
il mare, e tutto di scintille in giro
per lo vòto seren brillare il mondo.
E poi che gli occhi a quelle luci appunto,
ch'a lor sembrano un punto,
e sono immense, in guisa
che un punto a petto a lor son terra e mare
veracemente; a cui
l'uomo non pur, ma questo
globo ove l'uomo è nulla,
sconosciuto è del tutto; e quando miro
quegli ancor più senz'alcun fin remoti
nodi quasi di stelle,
ch'a noi paion qual nebbia, a cui non l'uomo
e non la terra sol, ma tutte in uno,
del numero infinite e della mole,
con l'aureo sole insiem, le nostre stelle
o sono ignote, o così paion come
essi alla terra, un punto
di luce nebulosa; al pensier mio
che sembri allora, o prole
dell'uomo?
Quattro anni fa ho citato questi versi in un talk che ho tenuto a Bologna, per un convegno dedicato all'idea del viaggio nel Romanticismo. Li ho citati per sottolineare una certa assonanza con un meraviglioso componimento di Anna Barbauld intitolato A Summer Evening's Meditation [Meditazione di una sera d'estate], un viaggio della mente che la poetessa intraprende per evadere da una quotidianità limitante e per tentare le potenzialità della propria poesia - un processo straordinario per una donna che scriveva all'inizio del diciannovesimo secolo. Eccone un estratto:
How deep the silence, yet how loud the praise!
But are they silent all? or is there not
A tongue in every star that talks with man,
And wooes him to be wise; nor wooes in vain:
This dead of midnight is the noon of thought,
And wisdom mounts her zenith with the stars.
At this still hour the self-collected soul
Turns inward, and beholds a stranger there
Of high descent, and more than mortal rank;
An embryo GOD; a spark of fire divine,
[…]
What hand unseen
Impels me onward thro' the glowing orbs
Of inhabitable nature; far remote,
To the dread confines of eternal night,
To solitudes of vast unpeopled space,
The desarts of creation, wide and wild;
Where embryo systems and unkindled suns
Sleep in the womb of chaos; fancy droops,
And thought astonish'd stops her bold career.
Ci sono tante cose che potrei dire su quest'opera in versi, e sulla sua autrice, che ha occupato tre anni della mia vita riempiendomi di interrogativi, di soddisfazioni, di innumerevoli e straordinarie scoperte! Nei prossimi giorni riprenderò questo brano fornendone una traduzione, sulla quale dovrò lavorare al meglio delle mie capacità. Riprenderò anche il discorso su Barbauld, che pochi conoscono ma che meriterebbe tanta considerazione anche qui in Italia. Nel frattempo, se l'argomento vi incuriosisce, visitate il sito che le ho dedicato: Reading Anna Barbauld, dove ho esposto i tratti principali della mia tesi.
Ma lasciatemi concludere questo post con il miglior augurio per una felice Giornata Mondiale della Poesia: vi basterà leggere o rileggere qualche verso per festeggiarla come si deve!


19 marzo 2012

L'enigmatica identità di Shakespeare

Il libro segreto di Shakespeare di John Underwood (che, come ho sospettato fin dall'inizio, è uno pseudonimo!) è stata una lettura molto piacevole, di quelle che ti tengono incollata al Kindle fino a tarda ora e poi, quando spegni la luce, ti pare che il buio intorno a te nasconda chissà quali segreti... Io non ho visto Anonymous, il film che a questo libro si è ispirato, perché da brava innamorata dei classici inglesi mi sentivo a disagio all'idea di sottoporre la mia pazienza per due lunghe ore, nella sala di un cinema, alle teorie cospiratorie che negano a Shakespeare la paternità delle sue opere. Ma i libri hanno su di me un fascino maggiore della pellicola, e trovare questo volume durante una delle mie esplorazioni in libreria ha stuzzicato la mia curiosità. 
Il romanzo è un mystery ben fatto, con un buon personaggio principale, Jake Fleming (i coprotagonisti, a parte il libraio di Charing Cross, mi sono piaciuti un po' meno, e ho trovato un po' scontata la figura del villain ) e delle ambientazioni davvero bellissime. Londra si stende davanti agli occhi del lettore in tutto il suo enigmatico magnetismo, evocando in ogni scena, ad ogni angolo, la forza del suo passato e la potenza della sua autocelebrazione. 
In questa immagine Marlowe
si toglie la maschera del Bardo
Ciò che più attira noi lettori, tuttavia, è il germe di questa narrazione. La storia inventata da Underwood gira intorno a una teoria piuttosto datata, di cui avevo sentito parlare solo per caso, e senza alcun approfondimento: l'idea, cioè, che le opere di Shakespeare non siano state scritte da Shakespeare. Nel romanzo i personaggi intraprendono una ricerca piuttosto pericolosa per sostenere questa ipotesi, costretti a scontrarsi con l'opinione comune, con gli studiosi delle università e con l'immortale "ideale" del Bardo che da solo costituisce gran parte dell'identità britannica. Nelle loro conversazioni si citano, come in un saggio critico, numerose opere effettivamente esistenti che corroborano l'attribuzione delle opere del Canone ad altri scrittori - De Vere, Francis Bacon, Marlowe. 
Il punto di partenza di questa tesi è dato dalla mancanza di sufficienti dati certi sulla biografia di Shakespeare, dalla sicura assenza di un patrimonio librario nel suo testamento, dalla inconfutabile verità che nella sua vita egli non frequentò altro che le scuole elementari di Stratford e visse un'esistenza del tutto legata agli affari e all'accumulo di ricchezze. Senza un'istruzione universitaria e senza possedere libri, sostengono i detrattori del suo nome, come avrebbe potuto costui scrivere opere così dense di sfumature politiche, filosofiche, poetiche e letterarie? E se non fu William Shakespeare di Stratford-upon-Avon a scriverle, chi ne fu l'autore?
Alcuni sostengono che si trattò di Christopher Marlowe, eccellente drammaturgo nato nei pressi di Canterbury nel 1564, studente a Cambridge e in seguito arruolato nei servizi segreti della Corona. La sua sorte subì diversi capovolgimenti, tanto che da genio letterario ammirato e rispettato finì per essere considerato un pericolo per la nazione, un libertino, un omosessuale. Morì (?, il punto interrogativo è d'obbligo per i supporter della teoria del complotto) nel corso di una misteriosa rissa appena fuori Londra, e tutti concordarono che se fosse sopravvissuto ai ventinove anni avrebbe potuto scrivere opere straordinarie, forse tramutandosi nel vero vate della drammaturgia britannica. Una sola citazione può bastare a dare conto del suo talento poetico: Sei più bella dell'aria della sera cinta dalla bellezza di mille stelle
Se vi interessa leggere qualcosa in più a proposito delle  teorie degli anti-stratfordiani, visitate http://it.wikipedia.org/wiki/Attribuzione_delle_opere_di_Shakespeare; se invece la sola cosa che vi riempie il cuore è la pienezza della poesia andatevi a cercare in biblioteca l'indimenticabile Dottor Faustus di Marlowe (versi che suonano fra i più alti della letteratura inglese; da esso è tratta la citazione sopra) e non dimenticatevi dei Sonetti di Shakespeare (o di Marlowe, decidete voi..!), che ogni giorno sanno infondere nuova vita alla nostra sete di bellezza. 
Il mio preferito è il Sonetto 55. E il vostro?


P.S. 21 marzo. Ho appena scoperto, con una certa sorpresa e un po' di turbamento, che il libro di Underwood non è mai stato pubblicato nel mondo anglofono. Nessuno ha voluto stamparlo in Gran Bretagna, né negli Stati Uniti, tanto che sul sito personale dello scrittore compare l'immagine della copertina italiana di Newton&Compton. Sembra quasi che la storia che vi è raccontata abbia disegnato il suo stesso destino: forse contiene segreti che qualcuno non è disposto a pubblicizzare? ; )


13 marzo 2012

Avanti il prossimo

Questo post sarà brevissimo, non molto più di un semplice link: The Book Seer è un sito internet nel quale si inseriscono titolo e autore dell'ultimo libro che si è letto (e amato!) per avere consigli sulla prossima lettura.... Digitando The Language of Flowers ho ottenuto, tra gli altri, questi due interessanti suggerimenti: Rules of Civility di Amor Towles (tradotto in italiano da Neri Pozza con il titolo La buona società), già in attesa nel mio Kindle e The Paris Wife di Paula McLain (anche questo portato qui da Neri Pozza, Una moglie a Parigi), che si trova anche nella mia wishlist (vedi "Il pozzo dei desideri" qui a sinistra). Non c'è dubbio quindi che le ricerche e i risultati di The Book Seer non sono affatto casuali! Non è facile accontentare una lettrice come me... : )



11 marzo 2012

Il linguaggio dei fiori


Il linguaggio segreto dei fiori è finito, e non mi dispiace. Pur bella, è una storia penosissima, di cui la protagonista è una giovane donna del tutto incapace di rapportarsi con la normalità. Victoria ha vissuto da bambina l'esperienza dell'abbandono e del drammatico spostamento dall'una all'altra famiglia d'affidamento. Questa infanzia dislocata l'ha fatta crescere infelice, arrabbiata, e inetta ad affrontare le esigenze della vita quotidiana - le regole della convivenza civile e, per esempio, la necessità di cercarsi un lavoro. C'è solo una cosa che Victoria conosce: i fiori. E sono i fiori a dare lo spunto alla narrazione, e i protagonisti dei passi più belli del libro. Quando questi passano sullo sfondo, lasciando maggior spazio alle vicende personali della giovane, il tono del racconto si fa molto più, e forse troppo, greve.
Con la nuova lettura voglio cambiare rubrica e distrarmi un po': ho iniziato un mystery letterario semplice ma affascinante, che ha per oggetto uno Shakespeare segreto... (Il libro segreto di Shakespeare di John Underwood).
E quando sarà finito, nel mio Kindle ci saranno altre intensissime storie ad attendermi!


5 marzo 2012

Un libro, un giardino


La lettura in corso di questi giorni, The Language of Flowers di Vanessa Diffenbaugh (l'idea di partenza è molto curiosa e accattivante, anche se il personaggio della protagonista non mi ha ancora convinta...), mi ha fatto ritornare con il pensiero a numerosi altri libri in cui i fiori, le piante, e in senso più esteso la realtà metamorfica e misteriosa dei giardini rivestono un ruolo principale nello svolgimento degli intrecci. 
Personalmente, forse anche in conseguenza di tutte le mie (tantissime!) letture britanniche, sono molto affascinata dai giardini all'inglese, quei grovigli di vita dove rimangono intrappolate le scintille di tutte le anime che vi sono passate. I giardini lussureggianti, densi di chiaroscuro, non possono fare a meno di effondere un senso di mistero: a guardarli sembra sempre che fra le radici si possano nascondere ricchissimi scrigni, che sotto le panchine deserte si possano trovare lettere d'amore che l'umidità sta cancellando giorno dopo giorno, che le cortecce intagliate possano risvegliare racconti e segreti inghiottiti dal tempo. Il motivo del giardino (spesso celato, o proibito) è centrale in tanta letteratura vittoriana e tardo vittoriana, poiché rappresenta ed è simbolico di sentimenti e di sensualità doverosamente represse. Dietro i cancelli semichiusi, nell'intrico dei rami, nell'opulenza del fogliame e nell'irrefrenabilità della procreazione naturale l'uomo vittoriano riflette segretamente la propria innata animalità, che è impossibilitato ad esprimere socialmente. 
J. W. Waterhouse, 1908
The Soul of a Rose
E allora dentro la cinta in mattoni o in ferro battuto, che nonostante gli sforzi non riescono a contenere la sfrenata ubertosità del giardino, si apre un'infinita varietà di possibili racconti o di possibili scritture, le cui parole fioriscono nella nostra immaginazione come fioriscono le rose selvatiche, e come l'erica s'inerpicano nei nostri ricordi. 
In The Secret Garden (Il giardino segreto) di Frances Hodgson Burnett, sublime esempio di letteratura vittoriana per l'infanzia - o meglio, sull'infanzia - la riapertura del giardino a lungo negato si associa all'estrinsecazione del carattere caldo ed esotico della piccola Mary Lennox e al tentativo di risvegliare la fisicità di Colin Craven, il cugino malato e costretto a letto. E The Forgotten Garden (Il giardino dei segreti, Speling&Kupfer) di Kate Morton, pur essendo un romanzo dei giorni nostri, recupera lo spirito vittoriano nella storia della riscoperta di un giardino a lungo dimenticato che ha il potere di restituire a una famiglia la sua identità.
La grande letteratura del tardo Ottocento non ha potuto esimersi dalla manifestazione della bellezza dei giardini inglesi nella loro intonazione con i turbamenti dell'animo umano.
Un bellissimo saggio, pubblicato dalla professoressa Giulia Pissarello negli atti di un convegno tenutosi all'Università di Venezia (Pictures of Modernity. The Visual and the Literary in England, 1850-1930, Venezia, Cafoscarina, 2008, pp. 171-182) esamina il ruolo delle piante e dei fiori nella letteratura di D.H. Lawrence e di Virginia Woolf. Il saggio è criticamente ottimo, ma come si sa ciò che mi preme di più in questo mio blog sono i passi dai romanzi; riprendo allora da quel lavoro solo una tra le citazioni da Figli e amanti di Lawrence (Capitolo 1, Garzanti, 2000):
J.W. Waterhouse, 1905
Psyche Entering into Cupid's Garden
"[La signora Morel] si accorse di qualcosa che stava penetrando nella sua coscienza e con uno sforzo cercò di capire di cosa si trattasse. Gli alti gigli bianchi s'inchinavano dolcemente nella luce lunare, e l'aria era satura del loro profumo, come di una presenza. La signora Morel ebbe paura, il respiro le si fece un po' affannoso. Sfiorando i petali di quei grandi fiori pallidi, ebbe un brivido. I gigli parevano schiudersi al chiar di luna. Infilò la mano in una di quelle grandi corolle bianche: in quella luce pallida, l'oro si distinse appena sulle sue dita. Si chinò per vedere il polline giallo di cui era pieno il calice, ma scorse soltanto un'ombra. Bevve allora un lungo sorso di quel profumo, che le diede quasi le vertigini."
I dipinti che ho inserito qui  mi sono sembrati la perfetta rappresentazione di questo sentire fin de siécle, ossia di quella commistione sinestetica tra visualità, olfatto e delicata carnalità che contraddistinse l'arte del periodo. Sono due opere di John William Waterhouse, che fu fra gli ultimi preraffaelliti e ne ereditò i motivi ricorrenti: la figura femminile a confronto con la naturalità in una vertigine di linee languide e involute.
Sono i giardini i protagonisti preponderanti della pittura preraffaellita: mondi enigmatici e conturbanti dove l'anima e la corporeità umane sembrano lentamente perdersi e svanire nella natura, gradatamente consumati da un latente senso di tragedia.